quest’opera: vorrei averla fatta io; e, non avendola fatta, la comprendo... Wagner non è stato mai meglio inspirato che alla fine della sua vita. La raffinatezza nel connubio della bellezza e della malattia raggiunge qui una tale perfezione da proiettare in qualche modo un’ombra sull’arte anteriore di Wagner: questa ci pare troppo luminosa, troppo sana. Comprendete questo? La sanità, la luce, che agiscono come fossero ombre? quasi come obiezioni? Eccoci già sul punto di diventare dei puri insensati... Non vi fu mai un più grande maestro nell’arte dei profumi gravi e jeratici, — non vi fu mai un più grande conoscitore, nel dominio dell’infìnitamente piccolo, dei fremiti dell’immensità, di tutto ciò ch’è di genere feminino nel vocabolario della felicità! — Bevete dunque, amici miei, bevete il filtro di quest’erbe! Non troverete mai un più piacevole modo di snervare il vostro spirito, d’obliare la vostra virilità sotto un cespuglio di rose... Ah vecchio mago! Klingsor di tutti i Klingsor! Come sa ben farci la guerra! a noi, spiriti liberi! Come parla a beneficio di tutte le viltà dell’anima moderna, coi suoi accordi di magalda! — E mai la conoscenza ha inspirato un tale odio a morte! Bisogna esser cinico per non soccombere, bisogna saper mordere per non adorare qui. Via!