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36 | il caso wagner |
ed è solo da essa ch’egli deduce i caratteri. Tutto il resto ne scaturisce, in conformità d’una economia tecnica che non ha ragione alcuna d’essere sottile. Non è il pubblico di Corneille che Wagner ha dovuto trattare: egli non ha a che fare che col secolo decimonono. Wagner giudicherebbe «della sola cosa necessaria» press’a poco come ne giudica oggi qualsiasi commediante: una serie di scene forti, l’una più forte dell’altra, — e, in tutto questo, molte abili stupidità. Ei cerca dapprima di garentire a sè stesso l’effetto della sua opera; comincia dal terzo atto, fa la prova della sua opera a mezzo dell’effetto finale ch’essa produce. Con un siffatto intendimento del teatro come filo conduttore non v’è pericolo di fare un dramma senz’accorgersene. Il dramma esige una dura logica: ma che importava a Wagner la logica! Ancora una volta: non era il publico di Corneille col quale egli dovea trattare: non avea dinanzi a se che Tedeschi! Si sa bene a qual problema il drammaturgo ponga tutta la sua forza e come talvolta sudi acqua e sangue: bisogna dare al-
mento», «storia», dando a queste due parole un senso ieratico. Il più antico dramma rappresentava la leggenda locale, la «storia sacra» sulla quale poggiava l’instituzione del culto (— e dunque non azione ma avvenimento: δρᾶν in dorico non significa punto «agire» ).