dine, il nostro più grande miniaturista musicale, che pone nello spazio più ristretto una infinità d’intenzioni e di sottigliezze. La sua ricchezza di colori, di mezze tinte, di chiarità misteriose ed evanescenti ci guasta fino al punto che, dopo lui, tutti gli altri musicisti ci sembran troppo duri. Credetemi, non bisogna farsi la più alta idea di Wagner da ciò che piace attualmente in lui. Questo è stato inventato per sedurre le masse, e noi ce ne allontaniamo come ci allontaneremmo da un affresco troppo stridente. Che c’importa dell’irritante brutalità del preludio di Tannhäuser? o del circo equestre delle Walchirie? Tutto ciò che è diventato popolare della musica di Wagner, anche fuor del teatro, è d’un gusto dubbio, fatto per pervertire il gusto. La marcia del Tannhäuser ci par sospetta di prudommia; il preludio del Vascello Fantasma è molto rumore per nulla; il preludio del Lohengrin ci dà un primo esempio troppo insidioso, troppo ben riuscito, del modo col quale s’ipnotizza a mezzo della musica (— io respingo qualsiasi musica la cui finalità non vada oltre la seduzione dei nervi). Ma a prescindere da Wagner magnetizzatore e pittore a fresco, v’è anche un altro Wagner il quale mette da parte tante cosette preziose: la nostra più grande malinconia in musica, piena di sogguardi, di