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8 | il caso wagner |
profonda in quella musica; ne percepisco le origini. Mi par di assistere al suo nascere; tremo ai pericoli che accompagnano non importa quale audacia; sono incantato dai felici trovamenti dei quali Bizet è inconsapevole. E, cosa curiosa! in fondo io non ci penso, o meglio ignoro fino a qual punto io ci pensi. Giacchè pensieri svariatissimi mi traversano il cervello in quel momento... Avete mai pensato che la musica rende lo spirito libero? ch’essa dà ali al pensiero? che si diventa tanto più filosofo per quanto si è più musicista? Il cielo grigio dell’astrazione par solcato dal fulmine; la luce diventa intensa abbastanza per cogliere la «grana» delle cose; i grandi problemi si fanno abbastanza prossimi per esser colti; abbracciamo il mondo come se fossimo sull’altitudine di una montagna. In questo io ho appunto definito il pathos filosofico. E, senza ch’io me ne accorga, sorgono risposte nel mio spirito, (una piccola grandinata di ghiaccio e di saggezza) di problemi risoluti... Ove sono? Bizet mi rende fecondo. Tutto ciò che ha valore mi rende fecondo. Non ho altra gratitudine: non ho altra prova del valore d’una cosa.
L’opera di Bizet, anch’essa, è redentrice. Wagner non è il solo «redentore». Con quell’opera ci si congeda dal nord umido, da tutte le brume dell’ideale wagneriano. Già l’azione