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la stessa disinvoltura, con una naturalezza veramente mirabile, dall’atroce invettiva, dalla satira flagellante, all’urlo spaventoso della disperazione, al lamento fioco della rassegnazione, e il sonetto piange, grida, freme, ride cinicamente, bestemmia, dando l’immagine d’una successione di quadri veri, luminosi, nei quali è tutta la sincerità, tutta la varietà della vita d’un popolo. Non è facile, invero, di trovare un altro scrittore, che sia capace d’astrarre, quasi, dal proprio io, di rendersi una cosa sola coll’oggetto, di vivere la stessa sua vita.
Senonchè, nella satira contro la religione passò il segno, e talvolta riversò nella strofa audace l’espressione del dubbio suo, di guisa che non riesce facile, per questa parte, di segnare fin dove arriva l’empietà, lo scetticismo del popolo e dove comincia quello del Belli, ed è questo, forse, l’unico difetto dell’opera.
Che se al Belli fu rimproverato d’aver negli ultimi anni rinnegato tutta l’opera sua, io penso, invece, che da questo stesso fatto si debba trarre argomento di nuova lode per lui. Poichè, quando la rivoluzione del ’48 scoppiò, ed egli restò inorridito agli eccessi, che sempre, fatalmente, accompagnano tutte le rivoluzioni, la ruppe bruscamente e assolutamente col passato, ma tacque. Non ritorse la musa popolare ad esprimere idee, aspirazioni, sentimenti che le ripugnavano, non carezzò quelli che aveva flagellato, non esaltò quelli che aveva demolito per sempre. Tacque addolorato e si chiuse in una solitudine piena d’amari dubbî, di selvaggi sconforti, temendo d’essere stato causa non ultima di conseguenze tanto gravi e imprevedute. Allora cominciò nel silenzio dell’anima sua una lotta assidua, faticosa gigantesca, fra l’uomo vecchio, che aveva con se la ragione, la logica spietata, il sentimento naturale, e l’uomo nuovo perseguitato dai fantasmi della religione, dal terrore tradizionale dell’inferno. Ma in questa lotta, se l’uomo antico perdè lena e calore e non potè più far sentire la sua voce, pure egli vinse: egli infatti, non permise che un sonetto solo, un sol verso fosse tolto o cambiato, di quel prezioso patrimonio artistico, che adesso la Nazione custodisce con gelosa cura.
Chi ci perdette, poveruomo, fu lui, il Belli!, che divenne fastidioso a se e agli altri, inquieto sempre colla propria coscienza, perchè non aveva il coraggio di distruggere quello, che, mal-