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to storico così solenne; ma non ci voleva meno di un popolo come quello di Roma, e in quel periodo di tempo, per eccitare e richiamare su di se tutta l’attenzione d’ un osservatore profondo come il Belli. Il dott. Bovet, nell’opera che ho citata, ricercando gli elementi dell’opera di lui, si propone di studiarla in dodici capitoli riguardanti: la famiglia, il carattere, il sentimento religioso, il papa e i preti, il papato, la superstizione, l’ignoranza, i mestieri, la vita fuori di casa, la vita attraverso le vie, la prostituzione, i servitori. Ma è possibile dividere in categorie un’opera così complessa, così organica, così armoniosa, come quella del Belli? E ancora: in quale di questi capitoli studieremo, per esempio, l’amore, come è sentito dal popolo e come è riprodotto dal Belli? E l’umorismo, l’umorismo talvolta fine, sottile, come un taglio di rasoio, talvolta acuto, mordace, aggressivo, è possibile di studiarlo tutto nel capitolo del carattere del popolo romanesco? E in quale dei capitoli citati troverà luogo lo studio del sentimento, del patetico, che il Romano, rozzo e di poche parole, cela quasi sempre, ma che pure talvolta prorompe in lagrime ineffabili, in grida tanto più dolorose, quanto più insolite e inaudite?

La verità è che il Belli, avendo avuto per primo l’idea di riprodurre tutta la vita d’un popolo in un momento caratteristico, ci è riuscito meravigliosamente, con una semplicità di mezzi anche più meravigliosa, facendo parlare il popolo colle sue proprie parole, coi suoi dolori, colle sue passioni, colle sue bestemmie. E come per riprodurre quelle passioni non ci voleva meno di quella forma aspra, forse, ma colorita ed efficace, egli non pensò di ripulirla, ma con isquisito senso d’arte raccolse di sulle labbra del volgo la frase incisiva, scultoria, e la chiuse in un sonetto, che parve ed è veramente un brano di discorso parlato.

Così, non egli scelse il sonetto, ma il sonetto gli balenò alla mente innamorata, come la sola forma poetica, che, nella sua brevità, fosse capace di rispecchiare il carattere arguto e poco loquace del popolo romano. E il sonetto maneggiò con abilità unica nella storia delle letterature dialettali, piegandolo ad accoglier tutto, l’ira del cittadino conculcato, lo spasimo del padre disonorato, l’infame astuzia del lenone, la crapula del clero corrotto, lo sfacelo della morale, il ghigno del servitore consapevole, il pianto commovente d’una madre senza pane. E passa con