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reo1, ed alludono a un tumulto del popolo di Roma, dopo il conclave che alla morte di Leone X elesse papa il cardinal di Tortosa (1522). Anche questi sono notevoli per la forma sinceramente popolare, e per certa vivezza di sentimento, che li ricollega, secondo me, a quello precedente di Madonna Iacovella, e furono, forse, opera d’uno stesso autore. Questi tre sonetti sono documento d’uno sviluppo artistico così elevato, che non mi sembrano doversi considerare come germogli isolati, e forse sono parte d’una più larga fioritura, che non sarà difficile allo storico della letteratura romanesca di rimettere in luce, procedendo ad una larga e intelligente esplorazione di tutto quanto è sepolto nelle biblioteche e negli archivî. Solo dopo una esplorazione di tal genere potremo dir l’ultima parola sull’antica letteratura romanesca e sul secolo di Leone X.
Ai primi anni del s. XVI si deve fissare l’apparizione di Pasquino nella vita e nella storia di Roma. Delle sue origini, delle sue vicende, delle sue relazioni col popolo romano molti si sono occupati, tentando alcuno2 di ricollegare l’opera di Pasquino con quella del Belli, del quale sarebbe un precursore. Ma l’opera immortale del poeta romanesco fu oggettiva ed impersonale, ebbe di mira i costumi e trascurò le persone, come la satira di Orazio; il verso di Pasquino, invece, nato dall’omaggio alla Corte Pontificia, diventò a mano a mano l’espressione del malcontento, dell’ira o anche dell’indignazione sarcastica individuale, e fu sempre aggressivo, e piacque al popolo, che spesso, trovandovi l’eco dei suoi stessi pensieri e sentimenti, lo ripetè come proprio. Del resto, se molti sono i contributi recati all’illustrazione di questo argomento, la storia completa di Pasquino è ancora nel desiderio di tutti, e diventa ogni giorno più necessaria, perché versa tanta luce sulla storia del papato.
Un altro studio importante sarebbe da fare sui diaristi, che