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provarsi, le quali si troveranno certamente in condizioni tecnico-economiche assai peggiori di quelle costruite nel lungo periodo accennato?

Se si dovesse giudicare dell’avvenire dai risultati ottenuti negli ultimi quattro anni precedenti il 1882, dovremmo essere spaventati dal nuovo abisso che sta per aprirsi davanti al nostro bilancio ferroviario; imperocché in tale breve periodo le spese d’esercizio chilometriche crebbero, ed i prodotti netti diminuirono in un rapporto di gran lunga superiore alla media desunta dalle cifre esposte.

E siccome le nuove linee si estendono principalmente nel bacino peninsulare tirreno e nella valle inferiore del Po, ossia nella stessa zona in cui furono tracciate le linee principali costruite nel ventennio accennato, dobbiamo doppiamente essere sgomentati dei risultati economici che si otterranno; imperocché le nuove linee, e quelle specialmente del versante tirreno, avendo un’importanza assai minore di quelle aperte nell’indicato periodo, ed essendo lontane dalle grandi città, dalle grandi vallate e dai porti principali, daranno prodotti assai minori di quelle esistenti; laddove le spese di esercizio saranno aggravate dalle meno buone condizioni delle livellette e dei terreni attraversati.

Queste osservazioni sono ampiamente confermate dai risultati ottenuti sulle Ferrovie Romane, le quali, come si disse al Cap. III, rappresentano una delusione ferroviaria dipendente in principal modo dall’influenza che le forti rampe, quando anche sieno brevi, esercitano sulle lunghe linee a miti pendenze; e provano come tale delusione abbia colpito non solo l’industria ferroviaria per maggiori spese di impianto e di esercizio, nonché per minori introiti, ma anche la stessa Nazione, per maggiori sovvenzioni pagate alle Società ferroviarie e per il minore sviluppo che ebbero l’industria agricola ed il commercio.

Così pure i nostri valichi alpini, che destarono tante rosee speranze sull’avvenire del movimento di transito, alla lor volta ci procurarono amare delusioni dipendenti dall’abitudine invalsa di giudicare le ferrovie alla stessa stregua delle vie marittime, tenendo conto delle sole distanze: come se il salire colla locomotiva a più di mille metri sul livello del mare, e su forti pendenze, fosse la stessa cosa come il camminare in piano.

Praticamente le cose procedono ben altrimenti; e l’economia dell’esercizio ferroviario ossia i limiti di concorrenza di due linee, una pianeggiante e l’altra a forti pendenze, determinati colla scorta delle sole distanze e tariffe, sono ben lontani dal rappresentare la convenienza per le Società ferroviarie di seguire una via piuttostochè l’altra; non potendosi, nello stabilire le tariffe delle forti rampe, tener conto di tutte le spese dirette ed indirette dalle medesime dipendenti, ed essendovi d’altra parte la questione del maggior tempo impiegato nel percorso e nelle soste al piede delle rampe stesse, il qual tempo è moneta tanto per il materiale mobile male utilizzato, quanto per le merci che viaggiano a passo di lumaca1.

Ma ciò che non è espresso dalle tariffe è sentito dalle amministrazioni ferro-

  1. Per avere un’idea concreta delle soste al piede delle forti rampe, bisogna riflettere che ogni pesante treno merci proveniente da una linea di pianura deve essere suddiviso in parecchi treni minori per il transito delle rampe indicate, i quali treni, non potendo inseguirsi, impiegano un tempo considerevole per raggiungere la linea di pianura posta al di là del valico, ove deve effettuarsi l’operazione inversa.