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lettera xiv. | 77 |
leggi non ha d’uopo di nessun Dio che la crei, di nessuna provvidenza che la governi. La provvidenza della natura appartiene a sè stessa; la sua finalità non le viene da un demiurgo fuor dalle cose ma la porta nelle sue leggi stesse che attraverso i disastri immensi dell’accidente ritrovano sempre, o presto o tardi, la loro via. Un Dio trascendente supporrebbe l’assurdo scientifico del sovranaturale; un di fuori dall’infinito vivente non c’è; e se Dio n’è il simbolo, allora ei vive nella natura stessa esprimendone le parti più idealmente vere, allora ciascheduno si reca il proprio Dio con sè, lo riflette come una visione di spirito nel suo cervello, trasmettendolo come la lampana della vita di mondo in mondo.
Anch’io credo in lui, anch’io l’adoro, anch’io mi compenetro nella comunione profonda degli esseri in cui si rivela ed in cui migra nel pellegrinaggio eterno dell’ideale. Ma l’altro Dio, la scienza non lo conosce e lo sdegna. Ben so che tu m’hai ripetuto