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lettera v. | 25 |
tastica di quell’apocalissi, il dramma psicologico di quel Getsemani che ci colpisce, ci affascina, ci vince.
Quel non so che di solenne e di sacro che esce da una cattedrale, tiene avvinte alla fede le anime devote che la frequentano più che non valgano i sillogismi di cento dottori. Il suono profondo d’un organo che s’aggira per gli archi e che sembra la voce dei supplicanti atterrati in faccia agli altari, io l’odo ancora attraverso vent’anni di ribellione scientifica. Sai tu che se nella solitudine delle mie notti vigilate nello studio mi viene all’orecchio una squilletta che dalla torricciuola d’un chiostro solingo risvegli gli anacoreti che dormono, io mi sento gli occhi umidi di pianto, l’anima mi balza nel petto, e mi sto lì fiso ad ascoltare quel suono come di persona accorata che chiami, e mi risovvengono i dì giovinetti della mia fede, le canzoni modulate nel coro, le festicciuole devote dei semplici, e la gioia serena e fresca che io