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lettera ii. 13

la caligine antica. Da ciò l’irrequietezza dolorosa d’un rinascimento incerto; da ciò le velleità che non si maturano mai nell’adulta virtù dell’intelletto conscio di sè; da ciò l’ecclissi superstite che si distende per tutte le vie della coscienza, e l’occulta fraude che ci avviluppa consumandoci nell’ impotenza eterna d’Amleto.

Fa d’uopo di risanarci da quella peste ascetica che ci corrose il nerbo della ragione comunicandoci quel delirio dell’oltretomba che ci stimola ancora il desiderio; fa d’uopo di aprire le stalle d’Augia putrefatte nel mondo moderno e lasciare che vi ricircoli la luce possente del vero; fa d’uopo di richiamare lo spirito dall’esiglio della materia rimaritandolo con la vita che sgorga perennemente dalle sacre mamelle della natura; non per inebriarsene in un’estasi inerte, come Faust, ma per riprodurne in noi stessi le parti più alte. Fa d’uopo di concordarci alle cose, rifecondarsene, ricrearle in quell’ideale ch’è la cosa più vera dell’universo,