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alla presenza degli astanti, egli s’avvicina al banco ove ginocchione stava il suo odiato parente Antonio Togni, e gli scarica due colpi di pistole, che però, per la troppa veemenza, non produssero il macchinato intento. Lo sbigottito assalito s’alza dal suo posto, e fuggendo, veniva inseguito dal suo assalitore, il quale avendo abbandonato le pistole, cercava con reiterati, ma riparati colpi d’un pugnale di levargli la vita. Dopo d’aver così spaventosamente, alla presenza d’un’atterita popolazione, percorsa circa la metà intermedia della chiesa, Giuseppe pervenne ad internare il suo folgoreggiante ferro nel seno del suo nemico, il quale per conseguenza non morì che alcuni giorni dopo. Giuseppe con quest’ultimo fatal colpo credette d’essere senza fallo pervenuto al suo desiderio, per cui frettolosamente, e senza ostacolo alcuno, sortì di chiesa, e coll’istesso pugnale ferendosi più volte mortalmente, andò a spirare sollo la sua casa.
All’atto della legal visita del cadavere, si è trovata sul suicida una carta da lui segnata esprimente gli ultimi suoi sentimenti d’un’ispirata Tellica giustizia eseguita sopra il primo autore delle sue persecuzioni, dichiarando egli ingiusto ed iniquo il suo processo, il laudo, e la sua sospensione di Luogotenente.