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volta che se gli presentava l’occasione, Anotta amava ascoltare qualche lettura, facendovi indi le sue giudiziose ed istruttive riflessioni, e raccontava volontieri ciocchè aveva inteso o veduto, essendo egli nella sua gioventù stato assente dalla patria, per lo spazio di cinque anni; ed amava idi ragionar con ardore di cose patrie, delle quali era non meno istruito. Sentendosi egli all’estremo di sua vita, fece chiamare vicino al suo letto i di lui più prossimi parenti, e fra gli altri morali e patrii ricordi, li scongiurò di non mai dimenticare che la prima eredità che un padre mesolcinese può lasciare ai suoi figli, è la libertà, assi più preziosa di qualunque ricchezza. Questo uomo veramente straordinario visse sin all’avanzata età di settantatrè anni, avendone passati trent’otto nella cecità, costretto in tutto quell'infelice tempo di tenere le palpebre chiuse per non sentirsi, come egli diceva, abbracciar l’orbite. Io conobbi molto bene questo mio memorabile compatriota, le di cui riferite narrazioni da lui sapute per tradizione, mi furono in parte di grande schiarimento in alcuni fatti in questa breve Istoria riferiti.

Nel 1807 e due consecutivi anni le Comuni della Mesolcina, come tutte quelle dell’intero Cantone, s’aggravarono di forti debiti per aver dovuto fornire i contingenti uomini che per le continue sanguinose guerre venivano a mancare ai