sue speranze cui non potesse aggiugnere colle ricchezze e colla forza onde vedevasi circondato, stabilì d’indagare se fossevi mezzo che lo conducesse a farsi eleggere imperatore de’ Romani, e la parentela, di che tenuto abbiamo discorso, lo fornì di speciosi pretesti per cominciare la guerra e le offese; come poi ne andasse la faccenda in doppio modo a noi venne dalla fama. Il primo e maggiormente avvaloratosi giunse, il confesso, alle mie orecchie come prendo a riferire: Un cotal monaco di nome Rettore infintosi l’imperator Michele riparò a Roberto siccome ad affine e suocero di suo figlio, e lamentatosi delle sofferte calamità gli addomandava soccorso, poichè questo Michele asceso il romano trono, spento Diogene, non avea potuto lungamente durarvi, balzato giù da Botaniate, ribellatoglisi contro, e costrettolo da principio a farsi monaco vestendone l’abito, cambiatolo poscia coll’arcivescovile talare e colla mitra. Che anzi divisato avea l’usurpatore di conferirgli perfino il pallio, a suggerimento di Cesare Giovanni suo zio, il quale osservata la vanezza di quel nuovo potente dottava non, addivenutogli sospetto, lo dichiarasse meritevole di sofferenze maggiori. Il monaco adunque appellato Rettore, vero comico nel fingere altrui ed esperto negli inganni più di quanti mai ve n’ebbero, mentì la persona di Michele, e sotto questa maschera presentatosi a Roberto nella qualità di suo consuocero lo fa partecipe dell’ingiuria cui dovette sgraziatamente soggiacere, vedendosi scacciato dal regio trono e ridotto a vivere con quell’abito ed in quella condizione; supplicavalo adunque, ricco essendo e po-