XVIII. Il mio genitore poi, Alessio Comneno, osservate da prima alcune valli ed approfittatosi della opportunità loro, fe’ comando che parte delle sue truppe ivi si accovacciassero, ed il resto attelò rimpetto al nemico. Disposti così, a seconda del tempo e luogo, gli uni e gli altri, e privatamente esortatili con faconda loquela a comportarsi da prodi, ordinò a quelli posti negli aguati che non appena il nemico esercito inoltrato si fosse là dove eglino potessero batterlo dagli omeri, andassero con gagliardissimo strepito ed impeto ad assalirne il corno destro. Volle inoltre tenere presso di sè ed al suo comando i nomati immortali e pochi
Celti, fidando i Comateni ed i Turchi al duce Catacalone coll’ordine di non perdere di vista gli Sciti, e di ritenere sua particolare incumbenza l’opporsi alle scorribande loro. Messe di tal modo in assetto le cose non appena l’esercito di Brienio ebbe posto il piede laddove erano gli aguati, ecco ad un subitano cenno d’Alessio balzarne fuori i nostri, e parte con mai più immaginata guisa di nocumenti, parte con urto violentissimo e colla morte di quanti appresentavansi loro pervennero da prima a sconvolgerne lo schieramento e quindi a fugarlo. Ora Giovanni Brienio, fratello del condottiero, mettendo opportunamente a pruova tutto il suo grandissimo coraggio, voltato il destriero, gittò a terra ferito uno degli immortali che gli era sopra da tergo, ed arrestata la fuga de’ suoi infuse nuovo spirito nella falange, e messa altra fiata in punto la fe’ marciare contro il vincitore, di modo respingendolo che gli immortali a vicenda incalzati dagli omeri da’ Brieniani diedersi bruttamente