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28 ANNA COMNENA

un molto scaltrito Palamedese pensa di fingere l’accecamento del prigione, dandone l’incarico al pubblico giustiziere, onde vengane con evidenza maggiore propalata la fama; al qual uopo armatolo del ferro da cavare gli occhi, fa gittare di forza a terra, porre supino ed incavalcare, quasi a sofferenza del supplizio, Urselio digrignante e gemente non meno d’imprigionato leone, operandosi in simulata guisa il tutto. Laonde quanti udironne le acute ed iocontinenti grida persuasero sè stessi e gli altri che quelle si fossero le dogliose voci di lui, addivenuto fiero al truce e minaccioso aspetto del carnefice, per l’orrore dell'imminente supplizio. Il barbaro poi, quantunque dalla sola tema sopraffatto, agitavasi con forza ed orgasmo tali da provare che la simulazione del gastigo avea oltrepassato i limiti dello spavento e delle minacce. Sparsasi dunque per la città la nuova del reale accecamento d’Urselio, e dileguatasi con essa ogni speranza in lui, tutti e cittadini e forestieri dissimularono ossequio, recando ognuno, a foggia delle api, quel tanto danaro che gli si conveniva. Di questo modo riuscì ad ottimo fine il sagace consiglio del padre mio, togliendo con tali maestrie, simili a sceniche rappresentazioni, le concepite perverse speranze ai vogliosi di novità, i quali, ponendo illimitata fiducia nell’ardire e nella potenza del barbaro, se avessero trovato mezzo, essendo ancor fresca la cosa, di trarlo sano e con vantaggio al partito loro sarebbonsi dati a sperimentare anzi la forza che a sovvenire l’addimandato presto; quetamente in cambio e di leggieri aderirebbero a cosiffatta prestanza, ove si persuadessero che