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LIBRO TERZO. 185

re Tecla. Il perchè gonfiatisi immensamente i fiumi, ed inalzate lor acque grandissimo tratto sopra le sponde, all’istante inondarono la pianura, ov’erano l’imperial padiglione e le tende a riparo di tutto l’esercito, dandole l’aspetto d’un estemporaneo mare. La vittuaglia in un colle bagaglie furono per intiero ingojate e seco trascinate dalle acque. Gli uomini ed i giumenti agghiadavano dal freddo; l’aere muggiva con orrendi tuoni, e non balenava già ad intervalli dando a otta a otta tregua la celeste fiamma; sì bene ovunque ti facessi a mirarlo, somigliava a non interrotta ammosfera di orrido fuoco.

L’imperatore durò qualche tempo nel massimo cordoglio alla vista di cotanto grave sinistro; di poi al mitigarsi un poco l’impeto della burrasca die’ pur egli segno di respirare alquanto, e traendo con avidità profitto da questo allentamento, seguito da scelto numero de’ suoi militi campati dai vortici delle onde, che sommerso aveanne di molti, ebbe opportunità di riparare sotto un alto e grosso faggio. Se non che fattavi breve dimora sorpreso da fortissimo strepito proveniente dal mezzo delle fronde stesse del ramoso albero, ed osservata la rabbiosissima foga de’ venti, che da imo a sommo agitavano con gagliardia la pianta, si ritrasse tutto trepidante, e preferì anzi rimanere a cielo aperto, che sotto il mal sicuro asilo. Allontanatosene poco più di quanto e’ si parea necessario, perchè l’albero precipitando non piombassegli sopra, quivi tutto impaurito s’intratteneva: ed ecco, fosse quasi in aspettativa di ciò ch’era per avvenire, la travagliata quercia, con ispaventevole fracasso e

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