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LIBRO TERZO. 161

volto, di maniera che il pelo delle sue gote non pareggiava quello del germano quantunque di età minore. Vedevi poi in entrambi, quando non impediti dagli affari, l’egual trasporto per la caccia, ma giunta l’occasione l’uno e l’altro volgevansi di miglior grado alle armi, ed Isaacio nel battagliare, stato frequentemente condottiero di eserciti, non la cedeva a chi che fosse. Ove più grave il pericolo, ed ove si potea vie meglio tenzonare col nemico, ivi si tenea, e non appena osservatolo in ordinanza, lanciavasi, a foggia di fulmine, con cieco impeto entro quelle file, apportatore di funestissima strage e spesso fugatore di tutta la falange. Onde ben due fiate avvennegli, pugnando in Asia contro agli Agareni, di cadere nelle mani loro; chè se difetto aveavi in lui era appunto il non saper moderare negli scontri guerreschi la sua grandissima foga. Siccome poi, giusta le convenzioni, accordavasi a Niceforo Melisseno l’appellazione di Cesare, e faceva altronde mestieri di vie più estollere l’anzinato fratello Isaacio, nè avendovene altra maggiore, l’Augusto pensò di creare un nuovo titolo coll’unione del Sebasto all’Autocratore, formando così il nome di Sebastocratore, e decoratolo della studiata onoranza lo rendè al solo Augusto secondo, accordando al postutto nelle acclamazioni il terzo luogo a Melisseno Cesare. Volle inoltre che nelle solennità il Sebastocratore ed il Cesare cingessero lor fronti non di egualmente adorne corone, ma sì bene diverse a norma del grado; ambedue non di meno così per ricchezza, come per magnificenza erano al disotto dell’augustale diadema, portato dallo stesso imperatore. Poichè questo, fog-

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