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DI PAOLO FERRARI. 13

di cuori e malattie di cuori, in consigliere affettuoso di coscienze e di anime.

Ed è ora ch’egli insorgo più energico contro quella che a lui pare bestemmia dell’arte per l’arte: è ora ch’egli più alto invoca nelle pagine sue il genio artistico italiano, augurandolo non più soltanto lascivo facitore di pitture, di sculture e di liriche: «e voglio, esclama e scrive, — voglio l’artista profeta, apostolo e sacerdote, che ponga il bello al servizio del vero e del buono; voglio l’arte che diffonda la scienza e predichi la morale; voglio la Musa che all’uman genere presenti Minerva e Temi inghirlandate di rose eterne; voglio la sublime triplice armonia che svegli un’eco titanica nel grande cuore del popolo.»

E così ora il poeta, ormai acclamato principe della scena, si volge con più fervido amore all’arte sua e le domanda tutte le risorse segrete, tutti i sorrisi, le grazie, i colori, i lampi, gli slanci, le arguzie e le astuzie perchè ella possa adempiere il còmpito suo senza parere: perchè il teatro diventi scuola feconda senza mutarsi in tribuna noiosa ne in pulpito catechizzatore. Questa è la idea fissa del Ferrari, riaffacciantesi ad ogni tratto nei proemii de’ lavori suoi. Avanti dunque un dopo l’altro, problemi nuovi di una società appena uscita da una rivoluzione politica, che ancor serba nel grembo assai delle tristi eredità del passato e ancora non ha trovato la formola dell’avvenire! avanti pregiudizi