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di carlo darwin | 25 |
vertigini, con quel suo andare e venire e ritornare e raggirarsi pen entro al laberinto delle cose. La simmetria perfetta gli fa male e lo mette subito in sospetto, quasi dubitasse di trovare l’errore o la frode. In tutt’altro campo il nostro Cavour pensava e sospettava nella stessa maniera. Quando un suo concetto, un suo piano gli sembrava troppo chiaro e gli amici da lui consultati lodavano in coro senza trovare obiezione alcuna, esclamava ab irato: non è nè può essere così: io ho scritto, io ho pensato una corbelleria. Sublimi esitanze, modestia sublime del vero genio, che sè in sè rigira e padrone di un mondo lascia ai posteri il desiderio di conquiste nuove, il tormento di nuove dubbiezze.
Sulla tomba di Darwin non è calma che basti per tessere la storia di lui; oggi io non mi sento capace che di un inno o di un elegia. Mi si permetta soltanto di richiamare davanti ai vostri occhi i titoli d’onore del grande che abbiamo perduto. Il suo sistema si appoggia sopra la base potente di una trilogia, l’Origine della specie, il libro sull’addomesticazione delle piante e degli animali e l’Origine dell’uomo.
Quando Darwin a bordo del Beagle, facendo il giro intorno al mondo, toccava l’Arcipelago di Galapagos situato nell’Oceano Pacifico a 500 miglia dalle coste dell’America meridionale, egli rimaneva stupito nel vedervi uccelli, rettili e piante, che non si trovavano in alcuna altra parte del mondo. Le Isole Galapagos dovevano essere per Darwin la mela di Newton, la lampada di Galileo. Tutti questi esseri vivi avevano molta rassomiglianza con quelli del Continente americano e gli