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di carlo darwin | 23 |
infiniti della natura grandi strade rette e dappertutto poniamo il termine romano, la pietra miliare. L’ingegno germanico e anglo-sassone odia la forzata mutilazione e le linee rette, e tendendo i suoi laberinti e le sue reti d’analisi sminuzza siffattamente ogni cosa da sovrapporre alla natura in un contatto gigantesco il lavoro dell’analisi. In ogni pagina del Darwin vi è una pagina della natura e l’opera dell’uomo si combacia coll’opera della vita: i suoi capitoli, i suoi paragrafi non sono tagli chirurgici o alessandrini, ma pause del pensatore che si riposa per contemplare e meditare.
L’ingegno del Darwin è uno dei più completi, dei più alti e dei più complessi ch’io abbia veduto, e il contemplare e l’ammirare un grande ingegno e lo sprofondarvisi dentro, quasi si volesse sentirne ogni palpito, riscaldarsi col suo sangue, palparne vive tutte le multiformi energie, è una delle massime voluttà che siano concesse al bipede implume nel suo rapido passaggio sulla terra. Darwin, quasi prima d’esser uomo, è inglese, e il darwinismo doveva nascere nell’Inghilterra, dove la prima domanda che fa un fanciullo, un filosofo, un legislatore, quando getta uno sguardo sopra un oggetto è questa: A cosa serve? La teoria dell’evoluzione è anzitutto utilitaria, e il darwinismo è così imbevuto in tutti i suoi pori, in tutte le sue fibre dell’utile delle cose da farne quasi l’unica forma trasformatrice della natura. È questa gran parte della sua grandezza, ma è anche la parte più debole della sua debolezza. Nè solo in questo l’ingegno del Darwin è inglese: egli è inglese per quella armonica contempe-