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dato la fisiologia del moto della vita, come l’anatomia ce ne aveva tracciato lo scheletro esteriore. Il convenzionalismo della scuola, l’infallibilità del dogmatismo scientifico, degne sorelle dell’infallibilità ieratica, ci avevano reso meno curiosi dei nostri fanciulli, che rompono le viscere dei loro balocchi e dei nostri congegni per scoprirne il perchè delle cose. Noi stavamo contenti al quia delle nostre pelli imbottite e dei cataloghi che ce le schieravano in fila.

Oggi nulla ci accontenta e come la febbrile incontentabilità di spazio, di moto, di godimento e di emozioni è la prima molla del viver civile, così nei campi della scienza il tracciare tutte le frontiere del tempo e dello spazio alle cose è lo sprone primo delle conquiste del vero. Oh leggete e rileggete le pagine immortali dell’Origine della specie o del secondo libro della grande trilogia darwiniana, The variations of animals and plants under domestication e ditemi se non vi commuove quel ricco, quello svariato intreccio di perchè e di come, quella sovrabbondanza di fatti particolari e minuti, che sembrerebbero polverizzare la materia, se da questa polverizzazione non escisse appunto spontanea, trasparente, lucidissima l’essenza delle cose. Lo dissi già altra volta: l’ingegno del Darwin non ha la simmetria romana: nelle sue opere non si ha quell’ordine di linee rette e parallele che sono un bisogno, fors’anche una manìa del genio greco-latino. La sua architettura è il disordine sublime, è la ricchezza senza fine del tempio gotico, e la natura è di certo interpretata meglio da questi ingegni che dalle nostre menti troppo simmetriche. Noi apriamo attraverso i campi