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di carlo darwin 19

pagna che per lui traduceva dall’italiano i nostri lavori, e per lui faceva da segretario per le corrispondenze, ma scrisse egli solo tutta la lettera. Genio e delicatezza, mente di titano e cuore di donna: davvero che per fare un grand’uomo la natura adopera lo scalpello di Michelangelo e il cesello di Benvenuto.

Le rivoluzioni avvengono nel campo della società come in quello della scienza nella stessa maniera: si covano per anni e per generazioni di uomini nel seno misterioso del tempo e poi ti compariscono innanzi come una sorpresa o come un fragore di terremoto. E ad onta dei cinque anni di viaggi e dei venti anni di meditazione l’Europa rimase attonita dinanzi all’Origine delle specie. Eppure i tempi erano maturi, come dicono i filosofi della storia. Troppe scoperte si erano accumulate nei campi delle scienze naturali, troppo profondamente era penetrato lo scalpello anatomico nella intima compage dei tessuti viventi. I precursori dell’evoluzione si facevano più fitti, Wallace giungeva alle porte del tempio, Hegel avrebbe potuto dire che il darwinismo era nato prima di Darwin. Nei classici musei le specie immote e immutabili sui loro pioli, col sacramentale battesimo latino ai loro piedi, sembravano guardarsi sorridendo e già minacciavano di darsi la mano e far baldoria insieme e dirsi sorelle, malgrado il sacramento battesimale di Linneo e la confermazione più ortodossa ancora del Cuvier. E quanti e quanti naturalisti di buona fede, nel silenzio tranquillo dei loro laboratori e dei loro musei davanti a una pianta o a un animale che non