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ma gratitudine pel modo con cui Ella aveva disimpegnato l’ufficio di revisore. Quanto approvai il fatto, tanto ebbi rammarico di non essere stato ragguagliato in tempo a poterne essere partecipe. Io avrei di buon grado aderito a quei sentimenti, quand’anche non avessi dovuto a lei altra riconoscenza, che quella, che tutti debbono a coloro, che si adoperano in servizio delle buone ed oneste idee. Ma l’aderirvi e l’esprimergli solennemente mi sarebbe stato un carissimo dovere dopo, che ebbi sperimentato con quanta bontà e con quanta premura ella s’adoperasse a spianare le difficoltà allora gravissime, che s’incontravano da chi intraprendeva l’ufficio di scrittore. Gradisca dunque, che io ripeta, per conto mio, tutto ciò, che la riconoscenza degli altri le ha già espresso, e creda, che se io sono l’ultimo ad esprimerle, non sono sicuramente l’ultimo a sentire i sentimenti di particolare stima, che il suo merito comanda a tutti i buoni.»

C. Boncompagni.

Poichè i giudizi de’ coetanei, testimoni dei fatti, hanno gran peso per me, aggiungo ai sopra riferiti, due testimonianze di due spettabilissimi dotti, ai quali possiamo prestare intera fede.

Ecco ciò, che dice il comm. Ricotti a pagina 202 della Vita del Balbo:

«Era censore il cav. Domenico Promis, bibliotecario del Re, che di lui si valeva per trattare con letterati ed artisti; uomo eccellente, il quale nello spedire, sia l’uffizio penoso di censore, sia le commissioni del Re, sapeva unire al dovere la cortesia, ed all’onestà la benevolenza. Per ordine del Re il Promis lesse il manoscritto delle Speranze ed il licenziò per la stampa fuori dello Stato.»

Il Peyron, di quella fama europea, che tutti sanno, riconoscendosi debitore al Promis di quei documenti, che potè pubblicare sulla reggenza di Maria Cristina, dice, che il Promis, scaltrito nel trarre dal covo ogni specie di patrii documenti, instancabile nel tracciarli, ne arricchiva la biblioteca da lui degnamente governata, gentile di modi e tutto zelo nel promuovere gli studi delle cose patrie, delle quali è benemerito illustratore.

Il dono del calamaio ci ricorda l’altro della magnifica spada, dall’Esercito offerta a Carlo Promis, difensore strenuissimo delle armi piemontesi. Calamaio e spada! Due monumenti, che la famiglia conserva gelosamente, e che i cittadini possono ricordare con orgoglio. Calamaio e spada! Quello, simbolo delle idee, che gli scrittori diffusero; questo delle armi, che dopo le idee, corsero a liberare l’Italia.

Questi furono i soli regali, che i due fratelli non rifiutarono. La magnanimità del rifiuto era in loro comune ed ingenita. Potendo essere, non vollero mai accettare, nè la candidatura di deputati al Parlamento, nè l’onore di sedere in Senato.

A tutti e due alieni dalle brighe, e dalla popolarità male usurpata, incresceva a quello di staccarsi dai libri, a questo di cessare i prediletti suoi studi di numismatica e di storia. Senza che se Domenico dopo il 1849 si ritirò nel silenzio, e si tenne in tale riserbatezza, che a torto s’interpretò di avversione ai nuovi ordinamenti, non può essere da noi appuntato considerandolo in faccia della sconfitta di Novara, da lui presagita e scongiurata; innanzi alla sventura, che balzò sui lusitani lidi quel Re, che egli aveva così fedelmente servito; in vista dei partiti, che si laceravano; a fronte delle esorbitanze della stampa, che egli con sufficiente larghezza aveva conservata nella dignità di sua missione.

Coraggioso, risoluto egli non aveva mai indietreggiato avanti le malevolenze e le difficoltà d’ogni maniera. Irremovibile ne’ suoi propositi, non obbediva, che alla voce della coscienza, non temente di censurare il male dovunque il vedesse. Per questa coerenza a sè stesso non gli fu risparmiata la taccia d’invido e di detrattore. Ma le sue censure non erano, che apprezzamenti istantanei dettati dalla sincerità sdegnosa d’ogni simulazione e d’ogni orpello.

In tutte le sue pagine non trovi acerbità di parole, non una linea di che si possa tenere offeso chi era dell’opinione contraria. E poi, come a lui non perdonare l’amarezza dell’animo; a lui che vedeva scomparsi dalla terra i suoi fidati amici. Cesare Saluzzo, Gazzera, Cibrario, Pinelli, Gioberti, dai quali era contraccambiato dai sentimenti di