Neppure mancano, nella caricatura aristofanesca, le discussioni d arte, che erano, come vedemmo, così care ad
Agatone. Questi, nel dialogo con Mnesiloco, svolge la sottil
teoria delle segrete corrispondenze fra l’arte di un poeta e le
vesti ch’egli indossa (p. 144, v. 9). Del resto, il presentarlo
vestito da donna è satira ben più mordace, non dell’arte, ma
dei costumi del poeta dolciloquente.
La immagine di Agatone si riflette dunque, alterata come
in uno specchio deformante, ma ben ravvisabile, nella caricatura aristofanesca: è vera caricatura di persona.
Non altrettanto si può dire per Euripide. Tranne qualche
giro di frase un po artifizioso, e la smodata passione per le
mechanài, questo personaggio non ha verun tratto che realmente lo caratterizzi. Qui Aristofane si contenta di scherzar
con la preda. Nelle Rane, poi, doveva discutere sul serio
l’aborrito tragediografo e darcene l’immagine quale egli la
vedeva, sia pure con occhi di nemico: per ora gli basta di
pigliare in prestito dalla farsa popolare il solito tipo del dotto
ciarlatano, a cui appicca una delle qualità che più dovevan
render famigerato fra il popolo lo schivo tragediografo: la
misoginia.
In questa commedia vediamo già inoltrato il decadimento
della parte lirica.
La prima parabasi è ridotta ai minimi termini; è priva
del commation, della strofe, dell’antistrofe e di un epirrema.
La seconda parabasi manca, o, meglio, è sostituita dall’inno
a Dèmetra e Persefone. Oltre a questi canti, non ci sono
che brevi parodie e inni alle Divinità. Tanto i brani corali
quanto le monodie, sono poi trattati con estrema trascuratezza;
ed alcuni degli inni sono così poveri, di così stanca tautologia, che a momenti non sembrerebbero opera di Aristofane.
Forse la musica o il carattere di riproduzione veristica ne avrà
rilevata la pochezza; ma ben possiamo dolerci che Aristofane