gini, che avevano dorso e fianchi tutto in giro, e quattro gambe
e altrettante braccia e due visi, Giove li taglia in due pezzi,
come fanno i cll’ochi con le sorbe e con le uova sode. Apollo
raccoglie i margini della cicatrice e li stringe, nel punto che
divien poi ombelico, come chi serra una borsa; e spiana le
grinze, come un calzolaio quelle del cuoio su la forma. Zeus,
minacciando gli androgini che se d’ora in poi non saranno buoni
tornerà a dividerli, pensa che, ridotti con un sol piede, dovrebbero andar saltelloni come al giuoco dell’otre. 1 due pezzi separati degli androgini son lontani l’uno dall’altro come gli
Arcadi dai Beoti. — Chi ha familiarità con Aristofane, a
momenti si chiede se comparazioni di tal conio non abbiano
veramente appartenuto a qualche sua commedia perduta.
Neppure è sfuggita a Platone la simpatia del poeta per
alcuni termini di confronto, per esempio con la cicaletta, o addirittura per certe parole (per esempio, mechané). Anzi, il filosofo riesce ad emulare il modello propostosi perfino in ciò
che sembrerebbe meno suscettibile d’imitazione, in certe scappate, in certi sprazzi d’istantanea comicità: sembra proprio di
conio aristofanesco quel Zeus, il quale minaccia i mortali che
se non saranno buoni tornerà a spaccarli nuovamente per lo
mezzo, si che sembreranno tanti bassorilievi. Insomma, si volga
la prosa platonica in armoniosi tetrametri anapestici, e ne risulterà una delle più felici e ispirate parabasi aristofanesche.
C’è dunque da credere che anche il discorso tribuito ad
Agatone rispecchi felicemente lo stile dell’elegante poeta. —
Oh, leggiamolo! — Dov’è la genialità, la festevolezza, il capriccio, che spumeggiano in quello di Aristofane? È svolto su
un piano molto ordinato e artificioso, certo secondo le norme
precise delle scuole sofistiche. Incomincia con una delle ingegnosità verbali che vedemmo sf care al poeta: « Io vo’ dir
dapprima come debbo dire, e poi dire »; e seguita svolgendo
regolarmente la dimostrazione punto per punto. « Amore è il