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LE NUVOLE 59

se a caso trovi un pubblico di gusto al par di quello: ben conoscere il ricciolo saprà di suo fratello! Che garbo è il suo, vedete! Prima di tutto, è giunta senza quel cuoio pendulo, marchiano e rosso in punta, che fa ridere i bimbi; poi non balla il trescone, non dà la berta ai calvi; né il vecchio col bastone canta ariette, e picchia chi gli càpita sotto, perché le busse scusino ogni pili insulso motto; né squassa in corsa fiaccole, né strilla: evviva, evviva! In sé solo fidando, sol nei suoi versi, arriva! Tal poeta io mi sono: e non mi gonfio; né cerco d’infinocchiarvi, con 1 ammannir due, tre volte la stessa roba: mi stillo il comprendonio per trovare idee nuove, non del solito conio, tutte quante ingegnose. Io son quei che, percosso Cleone in piena pancia, quand’era un pezzo grosso, quando lo vidi a terra, più non gli feci offesa. Gli altri, da poi che Iperbolo die’ una volta a lor presa, quel misero e sua madre pestan sotto le piante, senza tregua. Schiuse Eupoli la via col Maricante, dove i miei Cavalieri travesti alla carlona, fior di birba, ficcandoci quella vecchia sbomiona che ballava il trescone — quella che in una scena di Frinico, finiva in bocca a una balena. E dopo, Ermippo anch’egli ha scritto contro Iperbolo, e tutti, un dopo l’altro, s’attaccano ad Iperbolo, rubando a me l’immagine delle anguille. Non piaccia mai ciò ch’ io scrivo, a quanti ridono a tal robaccia: ma se le mie trovate vi procaccian diletto, voi stimeranno i posteri persone d’intelletto.