NOTE
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esegesi: ma comprendo che non potrà soddisfare tutti. I! brano rimane
sempre abbastanza oscuro.
Pag. I 13, v. 12. - Pare si tratti di sacerdoti incaricati di pregustare
le carni destinate al banchetto comune nelle feste delle Apaturie.
Pag. 115, v. 8. - Per un Attico vero era un punto d’onore non
tirarsi indietro dinanzi a una faccenda giudiziaria.
Pag. 116, v. 4. - Dodici mine, dice il testo: e ogni mina valeva
su per giù 97 delle nostre lire.
Pag. 119, v. 3. - Nel testo lo scherzo è ancora sulla parola £àrdopos.
Pag. 120, v. 9. - Càrcino, poeta tragico sovente beffeggiato da Aristofane. Qui si allude certamente a qualche sua tragedia in cui si udivano
i lagni di alcun Nume.
Pag. 120, v. 11.- Questi e i versi seguenti son parodia, molto probabilmente, di qualche luogo di Càrcino. 11 Tlepolemo, che Lesina ricorda più sotto, ha fatto pensare si tratti del Licimnio di Senocle, figlio
di Càrcino. Licimnio, fratello di Alcmena, fu ucciso da Tlepolemo, figlio
di sua sorella. Che non tutte le parole pronunciate da Lesina corrispondano al mito, non importa nulla: Benmiguardo, come tutti gli eroi aristofaneschi, modifica i versi citati per aggiustarli al caso presente.
Pag. 122, v. 2. - Adombro il testo. Benmiguardo dice: guidando
corsieri caddi; e Lesina risponde; e perchè cianci come fossi caduto dall’asino? Asino era anche il nome d’ un vaso speciale da contenervino:
onde cader dall’asino pare significasse esser briaco (Nencini, Studi italiani di filologia classica, 1893, 373 sg.),
Pag. 129, v. 12. - Un canto perduto di Simonide narrava d’una
tosatura e d’un montone: non sappiamo se vero montone o uomo di tal
nome. — Nei Banchettatoti d’Aristofane un padre diceva a un figlio
Framm. 223): « Prendi la lira, e cantami uno scolio — d’Alceo, d’Anacreonte!» — E il figlio, probabilmente, rispondeva picche, come qui
Tirchippide.
Pag. 129, v. 16. - «Le cicale — dice Socrate nel Fedro platonico
(259 c) — per cantare trascurano il mangiare e il bere; dalle Muse han
ricevuto questo dono, di poter fare a meno di qualsiasi nutrimento; e così,
senza cibo nè bevanda, cantano sinché muoiono ».
Pag. 130, v. 2. - Nei simposi ogni invitato cantava tenendo un
ramoscello di mirto, che poi passava a chi doveva cantare dopo di lui