Pagina:Commedie di Aristofane (Romagnoli) II.djvu/250


I CALABRONI 247


E si, cerano Ippillo, Teofrasto,
Lisistrato, Antifonte, Lupo, tutti
della cricca di Frinico. Ma quello
li sorpassava un tanto a contumelie.
S’impinzò prima d’ogni ben di Dio,
e poi, zompi, scorregge, piroette,
sghignazzate: pareva un asinelio
satollo d’orzo. E mi picchiava, come
un giovanotto, e mi chiamava: « Sosia!
Sosia!» — A quello spettacolo, Lisistrato
gli appioppa un paragone: « Oh vecchio, sembri
un pidocchio riunto, od un somaro
capitato in granaio». E di rimpallo
quell’altro, urlando, lo paragonò
a un grillo senza... falde, ad uno Stènelo
raso fino... al mobilio! Tutti quanti
ad acclamarlo. Teofrasto solo
storceva il labbro, da persona fine.
E il vecchio allora disse a Teofrasto:
«Perché fai, me lo dici, il sopracciò
e il raffinato, quando lecchi sempre
le zampe a quelli ch’anno il vento in poppa?» —
Così gl’ insolentiva uno per uno,
con facezie da zotico, e faceva
discorsi che c’entravan come i cavoli
a merenda. Ora è cotto, e torna a casa,
e picchia chi gli capita fra i piedi.
Eccolo qua, s’avanza barcollando!
Fammi scappare, prima di buscarne!