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228 ARISTOFANE


pur si tragga giovanile vigoria:
ché vai più la mia vecchiezza,
dico io, dei tanti riccioli
di codesti giovanotti,
tutti moda e culi rotti!

corifeo

al pubblico.
Epirrema
Se qualcuno si stupisce, nel veder la mia figura,
come va che a mezzo corpo m’abbia tal rastrematura,
e che cosa mai significhi questo nostro pungiglione,
se pur prima ei n’era ignaro, glie ne diam tosto ragione.
Soli noi, che il deretano così abbiam munito a guerra,
siamo gli Attici davvero generati dalla terra,
razza piena d’ardimento, che di somma utilità
riuscimmo nelle pugne, quando il barbaro fu qua,
e col fumo Atene tutta accecava e abbrustoliva,
per voler dai nostri fiali discacciarne a forza viva.
Con la lancia e con lo scudo ci scagliammo, presto e lesto,
nella zuffa, ebbri di stizza più pungente dell’agresto,
uom contr’uom, mordendo i labbri per la furia: dei dardi
dietro il volo, il firmamento si nascose ai nostri sguardi.
Con l’aiuto dei Celesti, li fugammo verso sera;
ché una nottola sul campo ai primi urti vista s’era.
Gl’ inseguimmo, fiocinandoli come tonni, con le lance
nelle brache; e fuggir punti sulle ciglia e sulle guance:
si che ancora in terra barbara proclamar dove vai s’ode
che nessun pareggia gli attici calabroni in esser prode!