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194 ARISTOFANE


La mogliettina mia me la presenta, e: « Ingolla
questo! » — accanto sedendomi, mi dice con bel modo; —
« Manda giù quello! » — Allora vo’ di giuggiole in brodo
Né guardar debbo supplice te, o il ministro, che stenti
ad ammannir la tavola, mandandomi accidenti,
e borbottando. Adesso se a far la pappa è tardo,
ho qui questo riparo dei mali, baluardo
delle frecce. E se a mescermi tu ti dimostri avaro,
ho meco preso, colmo di vin, questo somaro.
Lo chino, mesco: ei schiude le fauci, raglia, e addosso
alla tua coppa avventa scorregge a più non posso!
Tracanna a garganella dal vaso: poi d’un fiato.
Stretta
Oh non è grande la potenza mia,
e da meno di Giove in che mai sono,
se di Giove e di me parlan tal quale?
Quando infatti in seduta c’è frastuono,
dice chiunque passa per la via:
« Giove re, come tuona il tribunale! »
E s’io folgoro, fanno lo scongiuro
il riccone e il pezzo grosso,
e se la fanno addosso!
Al figlio.
E assai mi temi pure tu. Sicuro,
per Demètra, mi temi. E me, mi fulmini
un accidente, se
ho paura di te!