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I CALABRONI 191


cime d’uomini, pezzi grossissimi, all’ ingresso
delle Assise; e la floscia mano, com io m’appresso,
mi porgon, che dei pubblici beni facea rapina’
pregandomi con flebili parole, a fronte china:
«Pietà, babbo, ti prego, se mai tu pur man bassa
facesti in qualche ufficio, o tenendo la cassa
della provianda al campo! » — Di’ poi che recidivo
non fosse, e non saprebbe se io son morto o vivo!

schifacleone

appuntando sulla tavoletta.
L’articolo dei supplici, intanto, me lo segno!

filocleone

Dopo tanti scongiuri, calmato un po’ lo sdegno,
entro; ma una sol cosa non soglio far di quelle
che promisi. Al contrario, sento le gherminelle
che inventan gl’ imputati per farla franca: quale
adulazione il giudice non ode in tribunale?
Uno piange miseria, ai veri guai la giunta
pone, finché la dose abbia de’ miei raggiunta.
Questi racconta favole, ripete quei d’ Esopo
un motto buffo, un terzo dice burlette, a scopo
di placarmi col riso! Se poi teniamo sodo,
ecco la prole: bimbi, bimbette... io me la godo!
Li trascinan per mano: quelli belano in coro,
a testa sotto; e il padre, tremando, in nome loro,
come un Nume mi supplica, perché lo mandi assolto:
«Se dell’agnel t’è grata la voce, porgi ascolto