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XCIV PREFAZIONE


Untosi del prezioso elisire, Faone non si salva più;
ma ecco quale diavoleria inventa la Dea per ispecular
anche sul benèficio da lei conceduto. Serra in una casa
il fortunato Nemorino, e le femmine, accorrenti come
mosche al miele, rampogna ed ammonisce così (174):
Ben la vostra sciocchezza, o donne, v’auguro
che in sale si converta; poi che sembrami
che sale in zucca — e giusto c’è il proverbio —
voi non ne abbiate punto! Chi desidera
veder Faone, deve prima compiere
tai sacrifizi. Alla custode Venere
(che poi sono io) doni un panino gravido
e intiera intiera una focaccia, e sedici
uccelli, ben di miele infusi, e dodici
lepri, e torte lunate. Poi rimangono
ancor quest’altre offerte: son bazzecole.
Tre mezzetti di porri a Rizzalpinco (’).
A Spolvera, e al suo paio d’assistenti,
una guantiera di mortella, svelta
con le mani: ché i dèmoni gradiscono
poco l’odore di lucerna (=). Al Cane
e ai Bracconieri, un quarto di culaccio;
una dramma a Dimèna, a Capinsotto
un triòbolo; pelle ed interiori
(’) Intorno a questi demonietti, vedi il mio scrttto Ninfe e Cabiri, in
Musica e poesia nell’antica Creda, Bari. Laterza.
( ) Si leggano i primi versi delle Donne a Parlamento.