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LXXII PREFAZIONE

Come egli sapesse poi da questi tratti violenti passare alle più intricate e minute pitture di genere, mostra la vaghissima apologia dell’arte di scroccare che intesseva il corifeo dei Parasiti (159): Ma i costumi descrivervi vogliam dei parasiti: via, sentite se proprio siam uomini compiti. Primo, un servitorino ci vien dietro per via, per lo più roba d’altri... ma un pochino anche mia. (’) Posseggo questi due vaghi mantelli; (2) meco or l’uno tolgo, or l’altro, ed in piazza mi reco. Giunto che sono, come sbircio qualch’uomo ricco ma un po’ dolce di sale, subito me gli appicco; e come quel riccone apre bocca, lo lodo pei suoi detti, e stupisco, vo di giuggiole in brodo. Chi qua, chi là, su l’ora di cena, ove c’invita il pranzo altrui, moviamo. Qui pronto il parasita sfoggi molte facezie di buon gusto; se no, c’è l’uscio; e so che Acestore, quel birbo, c’incappò. Disse una burla insipida; e il servo te Io prese, gli strinse un laccio al collo, lo mandò a quel paese. Questa predilezione per la satira etica, evidentemente più viva in lui che nei suoi rivali, sembra si estrinsecasse nella sua arte e culminasse in forme complessivamente più elevate. Certo gli antichi, oltre all’ingegnosità, all’eleganza, all’acerbezza, rammentavano come qualità sua pe(’) Passo un po’ incerto: forse vi si cela qualche poco decente allusione. (’) Qui probabilmente il corifeo faceva vedere al pubblico il diritto e il rovescio dell’unico suo mantello.