Come egli sapesse poi da questi tratti violenti passare
alle più intricate e minute pitture di genere, mostra la
vaghissima apologia dell’arte di scroccare che intesseva il
corifeo dei Parasiti (159):
Ma i costumi descrivervi vogliam dei parasiti:
via, sentite se proprio siam uomini compiti.
Primo, un servitorino ci vien dietro per via,
per lo più roba d’altri... ma un pochino anche mia. (’)
Posseggo questi due vaghi mantelli; (2) meco
or l’uno tolgo, or l’altro, ed in piazza mi reco.
Giunto che sono, come sbircio qualch’uomo ricco
ma un po’ dolce di sale, subito me gli appicco;
e come quel riccone apre bocca, lo lodo
pei suoi detti, e stupisco, vo di giuggiole in brodo.
Chi qua, chi là, su l’ora di cena, ove c’invita
il pranzo altrui, moviamo. Qui pronto il parasita
sfoggi molte facezie di buon gusto; se no,
c’è l’uscio; e so che Acestore, quel birbo, c’incappò.
Disse una burla insipida; e il servo te Io prese,
gli strinse un laccio al collo, lo mandò a quel paese.
Questa predilezione per la satira etica, evidentemente
più viva in lui che nei suoi rivali, sembra si estrinsecasse
nella sua arte e culminasse in forme complessivamente più
elevate. Certo gli antichi, oltre all’ingegnosità, all’eleganza, all’acerbezza, rammentavano come qualità sua pe(’) Passo un po’ incerto: forse vi si cela qualche poco decente allusione.
(’) Qui probabilmente il corifeo faceva vedere al pubblico il diritto
e il rovescio dell’unico suo mantello.