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IV | PREFAZIONE |
nomi, e anche con scenette realistiche e mimiche. Imitavano, per esempio, un cerretano che spacciava ai gonzi i suoi miracolosi specifici, dei ladri di frutta, un atleta tutto goffaggine e millanteria.
Da questa specie di monologhi-macchiette ebbe origine una specie di farsa che le notizie più tarde chiamano commedia di piazza (komoidía agoráia), e che a mano a mano si stabili in molti paesi, assumendo qua e là varia fisonomia. Nella conservatrice Sparta rimase a lungo nello stato embrionale. A Megara prese molta voga e rincarò in buffonaggini: gli Ateniesi del V secolo dicevano megarico come noi diremmo pulcinellesco. In Atene si fissò primieramente con Susarione: era una cosa senza capo né coda, e fu detta con disprezzo commedia buffonesca (phortikè komoidía). A Tebe sembrâ divenisse parte integrale delle feste in onore di Kábeiros, il Diòniso locale.
Disseminata e fissata a mano a mano, con incroci ed influssi reciproci che sarebbe folle e vano voler determinare, per tutto il mondo greco, questa caratteristica farsa mimica coniò ben presto certi tipi, certe situazioni, certi motivi comici caratteristici e divertenti, se non sempre fini ed artistici. Il popolino greco ne andò pazzo, come il napoletano per la commedia di Pulcinella. E un po per trarre partito da questa predilezione, un po’ per il fàscino che realmente esercitavano quelle forme rozze ma efficacissime, i poeti che tolsero la commedia dalla piazza per recarla a trionfare sulle scene di Diòniso, rimasero in molti punti fedeli anch’ essi alla bene amata tradizione. Non altrimenti si comportarono