da ebbri, infilano guanti ricamati, indossano un chitone
a righe bianche, e cingono una veste tarentina che scende
sino alle calcagna. S’avanzano silenziosi fino all’ingresso,
e, giunti in mezzo all’orchestra, si volgono verso gli spettatori, e" dicono:
Largo al Nume, scostatevi!
Ch’egli vuole, da un pezzo
tutto eccitato, e in fregola,
a voi venire in mezzo!
I fallofori poi non adoperano maschera, ma una visiera
di sermollino e d’acanto, sulla quale pongono una fitta
corona d’ellera e di viole. Cingono una lunga veste, entrano, alcuni dalla pàrodos, altri dalla porta di mezzo, e,
movendo a passo di danza, dicono:
Gittando in ritmo schietto l’agil cantico,
per te questa canzone omiam, Diòniso,
intatta, nuova, che d’antica musica
non s’abbella: ma un inno originale
intoneremo.
E poi, correndo qua e là, beffano chi gli càpita ». (Kaibel, Fragm. Comic., 74).
Ad una di queste invasioni avrà in qualche modo appartenuto un misterioso e vaghissimo frammento di Pratina, che sembra accennare ad una elementare complicazione. I fallofori trovano il teatro già occupato da intrusi,
danzanti, probabilmente, al suono d’un flauto, e li di