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NOTE 273

NOTE 273 Pag. 179, v. 7. - Nella festa delle Panatenec un corteo composto del fiore dei cittadini di Atene portava solennemente all’ idolo della Dea venerato sull’Acropoli un peplo riccamente istoriato dalle donne ateniesi. La processione fu scolpita da Fidia sul fregio del Partenone. Pag. 179, V. 15. - 1 generali d’ora s’abbassano dinanzi a Cleone per avere il vitto nel Pritaneo (Aristofane dice semplicemente la vivanda); quelli d‘ un tempo non si sarebbero mica abbassati dinanzi a Cleeneto, padre di Cleone! — 11 confronto è reso più comico dal fatto che Cleeneto non aveva punto autorità né facoltà di concedere tal privilegio. Pag. 179, v. 16. - Nel teatro. La proedria era una distinzione che si concedeva per pubbliche benemerenze. Pag. 180, v. 9. - Ai Cavalieri che formano il Coro, cioè alla commedia. Pag. 180, v. 22. - Granci pare fosse nomignolo dei Corinzi; onde il poeta dice che i Cavalieri, non avendo Medi da uccidere, uccisero Corinzi. Pag. 180, v. 25. - Persona e aneddoto ignoti. Pag. 181, v. 5. - Il testo dice: a fui Nikobulo », cioè vincitore nel Consiglio. Pag. 182, v. 17. - Non tutti questi dèmoni sono inventati dal Salsicciaio: alcuni appartenevano veramente alla superstizione popolare. Cfr. il mio scritto già ricordato; Orìgine ed elementi, p. 213 sg., e l’altro: Ninfe e Cobiti, nel volume Musica e poesia nell’antica Grecia. (Bari, Laterza). Pag. 182, v. 21. - I tuoni da destra erano di buon augurio. Pag. 183, v. 12. - Nei sacrifici pubblici c’era, più o meno, da scialare per tutti. Pag. 185, v. 10. - La proedria, di cui si parla anche prima. Pag. 188, v. 6. - L’ottavo giorno del mese Pyanepsione, nelle feste della raccolta, sacre ad Apollo, si portava in processione per la città, e si appendeva innanzi al tempio del Dio, una rama guemita di frutta d’ogni specie, e di pasticcetti, ampolline d’olio, miele, vino. Rame simili si appendevano anche agli usci delle case private, dove rimanevano fino all’anno seguente. Pag. 191, v. 4. - 1 popolani di Roma, a chi rimane scioccamente a bocca aperta, chiedono schernendo: a Che, stai a para li fichi? »; Aristofane Commedie, 118.