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PREFAZIONE XXIX

e intrecciate bizzarramente con qualche elemento della propria lingua. Esempio cospicuo, l’indiano della farsa d’Oxyrhynchus.

Altri ed altri lazzi potremmo ancora ricordare, alcuni mimici, altri di fondamento grossamente etologico, altri puramente verbali. Ma il lettore che oramai ha capito il genere, li riconoscerà senz’altro nelle commedie aristofanesche, e saprà sotto che luce considerarli.

Voglio però ancora rilevare un principio generale, che Aristofane sfrutta largamente in ogni elemento dei suoi drammi, dalle grandissime linee ai più minuti particolari, e che certamente apprese, egli, come, senza dubbio, i suoi predecessori, dalla farsa popolare. Vo’ dire la simmetria. Con la contrapposizione piccante o la ripetizione, che è poi una categoria della simmetria, di due scene, di due motivi, il nostro poeta esalta mirabilmente un’idea sino al massimo dell’effetto. 11 finale degli Acarnesi offre, nel suo complesso, un esempio tipico. È la festa dei Boccali, e Diceopoli è tutto inteso a preparativi culinari. Giunge un araldo, e chiama Lamaco: corra, sotto il fioccar della neve, a difendere i confini, pigliando alla spiccia schiere e ciuffi. Ecco un altro araldo: corra Diceopoli, a pranzo dal prete di Diòniso, pigliando alla spiccia sporta e boccale. Segue un duetto, tutto intessuto di precisi contrasti. Infine, Lamaco va da una partii dicendo che il tempo mette a neve. Diceopoli dall’altra, dicendo che mette a bagordi. Dopo un breve intermezzo, ecco da una parte Lamaco, ferito, sostenuto da due commilitoni; e dall’altra Diceopoli, ebbro, puntellantesi a