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XXVI PREFAZIONE

rasoi mostruosi, di sbarbificazioni cruente, dagli Idáioi di Cratino1, il quale avrà certo avuto i suoi modelli, sino al Pexor rasticus di Pomponio, e giú giú, alla famigerata scena del Barbiere di Siviglia. Immancabile dovè essere il tratto del paziente in fuga con una gota rasa e una no. In un frammento, probabilmente comico, riferito da Alcifrone, vediamo un barbiere burlone conciare in tal modo un suo cliente (Adesp., 124):

Che briccone, che goffo! Non m’accorsi
che non mi rase intera la mascella,
ma solo in parte; e mi lasciò la guancia
ispida quasi tutta, e a pezzi liscia.

Simpatia non minore riscuotevano le scene di travestimento. Ecco, prima dei numerosi camuffamenti aristofaneschi, il Diòniso d’una commedia di Cratino2 tramutato in becco. Lo stesso Nume, mollissimo e voluttuoso, nei Comandanti ( Taxiarchoi) di Eupoli doveva indossare panni da soldataccio. — E qualche confronto che possiamo istituire con Pomponio ci fa poi vedere come, non solo nel motivo generale, ma anche in minuti particolari, i poeti d’arte sembra attingessero fedelmente da tipi abbastanza definiti. Un frammento dei Verniones (I, Ribbeck):

a peribo, non possum pati:
porcus est, quem amare coepi, pinguis, non pulcher puer.

  1. Cfr. Scol. Tesmof., 215
  2. Il Dionysaléxandros: clr. pag. LVII.