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I CAVALIERI 127

invece nella ricchezza della concezione e dell’espressione metaforica, dalle grandi linee ai minuti particolari. Così la lotta fra i due demagoghi è immaginata a volta a volta come una zuffa di galli, una battaglia di mare, una tempesta. Cleone è paragonato al pescatore di anguille che non fa preda se non intorba le acque del pantano; al cane che assiste scodinzolando al pranzo del padrone, e, come questi rivolge un po’ il capo, gli ruba la pietanza; al coglitore di fichi, che li palpa per distinguere i maturi dagli acerbi (cosi fa egli coi magistrati che devon render conto della loro gestione: lascia andare i poveri, ma pizzica i ricchi e li gratifica d’un ricatto); al pescatore di tonni che con la vista acuta ed esercitata vede giungere da lontano le frotte delle sue vittime. Popolo è tenuto a bada dalle sdolcinate chiacchiere dei demagoghi come i ragazzi dai fichi secchi che altri fa loro dondolar dinanzi al naso penduli da un filo e da una canna. Come i bifolchi non possono ottenere il miele se non costringendo le api negli alveari, così Cleone non potrebbe sfruttar gli Ateniesi se non seguitando a tenerli fra le angustie dell’assedio.

Ora, si badi. Le immagini e le metafore, ancora numerose e varie nei Calabroni, diradano nella Pace, spariscono quasi interamente nelle altre commedie: anche in ciò verificandosi il progressivo impoverimento della parte poetica, così visibile in altri elementi dell’opera di Aristofane. La ricchezza che se ne sfoggia nei Cavalieri è ancora un altro sigillo che designa questo lavoro come rappresentante tipico della commedia attica antica.