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I CAVALIERI | 125 |
stofane, che in questa commedia, come, certo, nella realtà, li scelse alleati contro il possente nemico.
Ma è poi esatta, almeno relativamente, l’immagine ohe Aristofane traccia qui dell’aborrito demagogo? L’odio non gli fece velo agli occhi, sì che egli, tracciandola, la svisasse interamente?
Non dispiaccia ai riabilitatori di professione, nei tratti essenziali la caricatura aristofanesca ricorda assai da vicino il ritratto disegnato da Tucidide. Al grande storico si deve il particolare che Cleone inaugurò l’usanza d’arringare senza deporre il grembiale da cuoiaio: nobile ed elegante ostentazione di democrazia. E poi, l’esagerazione d’Aristofane consiste nella vivacità dei simboli comici, nella crudezza e nella sconcezza del linguaggio, ma non già nella sostanza. La vera effigie della demagogia è proprio quella dipinta qui con tratti indimenticabili. Aristofane aveva intrepido l’animo, e l’occhio penetrante; e seppe senza esitazione e senza pietà strapparle di dosso ogni orpello, ogni velo, ond’ella copriva l’oscena sua nudità. Dopo tanti secoli, gli siano ancora benedette le mani.
Eupoli, in una sua commedia, protestava pubblicamente d’aver collaborato ai Cavalieri. Certo nella incomparabile violenza e nella sublimità di alcune parti, questo dramma si avvicina al tipo che abbiamo abbozzato dell’arte eupolidea (vedi Introduzione). Ed è pur l’unico, in tutto il teatro aristofanesco, in cui il carattere politico sia mantenuto dal principio alla fine, e non si stemperi e afflosci per via tra dilaganti buffonaggini. Strano poi, che mentre da questo lato è per noi il modello della commedia attica antica, politica, nella favola si avvicina piuttosto al tipo epicarmeo, o della commedia nuova. Esso è infatti una specie di dramma di famiglia. Un adulatore scroccone s’insinua nella casa d’un vecchio benestante e rimbam-