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XVIII PREFAZIONE

pati indipendentemente, che, per l’ acuità acquisita nella libera espansione, ben sovente contrastano e si contraddicono.

I critici ed i grammatici, lavorando in un tempo in cui questo processo era già compiuto, e su un materiale (la commedia nuova o di carattere) in cui si scorgeva il punto d’arrivo solamente, e non piú la via percorsa, videro nettamente e disegnarono i rami, ma non s’accorsero del tronco, sparito sotto il fittissimo frondeggiamento.

La comprensione di questo processo ci fornisce il mezzo principale, mi sembra, d’intendere la singolare complicatissima tempra delle persone di Aristofane.

A nessun lettore può sfuggire la stretta somiglianza che intercede fra i personaggi principali, i protagonisti, delle commedie di Aristofane e che dipende dal costante ricorrere di certe condizioni e caratteri comuni.

Quasi tutti questi personaggi sono campagnuoli. Diceopoli, relegato in Atene dall’invasione laconica, non fa che rimpiangere i campi; e, stretta appena la tregua col nemico, vi torna a celebrar le Dionisie agresti (Acarn., 220). Popolo, il mangiafave (Cav., 46), recuperate le tregue sequestrate da Cleone, s’affretta a tornare in campagna (1494). Lesina adduce, a scusa dell’aver picchiato troppo forte alla porta, le proprie abitudini campagnuole (Nuvole, 156). Filocleone ricorda all’ingrato schiavo una certa operazione a cui lo sottopose quando lo trovò nel podere a rubar l’uva (Calabroni, 487); ora, per altro, la mania tribunalizia sembra l’abbia legato alla città.

Trigeo, il vignaiuolo, appena libera Eirene, torna alle sue viti (Pace, 74!). Sperabene possiede un poderetto