Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
GLI ACARNESI | 67 |
coro
Antistrofe
Dunque, giustizia vi sembra — che sia nei processi perduto
un uomo canuto,
che di guerresche penose — fatiche fu oppresso, che molto
sudore deterse dal volto,
che batteasi a Maratona per la patria? — In quella pugna
sul nemico fuggiasco bene stringemmo l’ugna!
Ma or su noi la stringon, ci acciuffano i nostri nemici
ribaldi. Tu, Marsia, che dici?
corifeo
Antepirrema
Dunque un uom come Tucidide curvo e annoso, è mai giustizia
che soccomba misurandosi col «Deserto della Scizia»,
con Cefisodèmo, questo cianciator rabula? — Quanto
non soffersi, come amaro non mi corse al ciglio il pianto,
nel veder tale un vegliardo bistrattato da uno Scita!
Ah, quand’egli era Tucidide, no, per Dèmetra, patita
ei neppur la stessa Acaia non avria si di leggieri!
Ma di colpo al suol dieci Èvatli messi avrebbe; degli arcieri
ne volea con uno strillo sbigottir tremila; e tutta
la progenie d’uno Scita si briccone avria distrutta!
Ma giacché non permettete che un canuto dorma in pace,
fate almeno che spartite sian le cause; e un loquace
bagascion, figlio di Clinia, nell’accusa si presenti
contro i giovani, ed un vecchio, contro i vecchi, senza denti.
Si, convien che d’ora innanzi questa regola si serbi:
stiano vecchi contro vecchi, stiano imberbi contro imberbi.