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66 | ARISTOFANE |
coro
Strofe
Musa veemente d’Acarne — che spiri dei fiammei baleni
la furia, qui vieni.
Qual dai carboni di leccio — sprizzar la scintilla si mira,
se il mantice sopra vi spira,
mentre uno i pesciolini belli e fritti dentro il vaso
immerge, dove un altro salsa intride di Taso,
impetuoso un carme — cosí, cosí fiero e selvaggio
intona fra noi del villaggio.
corifeo
Epirrema
Ci Iagnam coi cittadini, noi canuti, d’anni gravi;
perché, immemori, noialtri che pugnammo su le navi,
non nutrite a spese pubbliche! Siam dai torti invece oppressi,
e, cadenti come siamo, ci lasciate nei processi
trascinar, dove ci beffano degl’imberbi mozzorecchi.
Noi non siam piú nulla, siamo rimbambiti, arnesi vecchi,
altro nume tutelare non abbiam che la stampella.
Ci avanziam; ma la vecchiaia ci fa groppo alla favella;
né vediamo, eccetto l’ombra, nulla mai della giustizia.
Ma l’attacco presto e lesto, con raggiri a gran dovizia,
dà il ragazzo, che assistenti nella causa non vuole,
e c inganna e sottopone dei tranelli di parole,
ed il povero Titone martirizza, scuote e sbrana.
Ei, multato, biascicando per vecchiaia, s’allontana,
e cosí parla agli amici, mentre lagrima e singulta:
Quel che in serbo ho per la bara, l’ho a sborsare per la multa!