Il Páppos (nonno) della commedia di piazza era diretto progenitore del Pappus dell’atellana. Entrava canticchiando, brandiva un bastone, e ne carezzava le spalle a chiunque gli si parasse dinanzi, gridava «evviva, evviva!», squassava una fiaccola come Filocleone nelle scene finali dei Calabroni, e come l’eroe d’una rappresentazione fliacica (fig. 1). In una commedia di Ferecrate (la Coriannó) lo troviamo pervenuto al colmo della ridicolaggine: innamorato, e rivale di suo figlio. Delle numerose varietà che generò questo tipo, fa fede senz’altro la variopinta interminabile filastrocca, compilata da Polluce (IV, 16), dei titoli schernevoli escogitati a caratterizzarlo. In due vasi fliaceschi del Museo di Bari ne troviamo un paio che han proprio dipinto in viso il loro carattere. Uno è (fig. 2) un vecchietto corcontento, arguto ed arzillo. L’altro, nella bocca sdentata, la bazza allungata, le orecchie grandi a ventola, la fronte gonfia e bernoccoluta, il cocuzzolo a punta, dimostra tutta la protervia del vecchio duro ed arcigno (fig. 3). Di fronte a questi tipi ben definiti e distinti, la tradizione ne ricorda altri che già a prima vista mostrano una reciproca parentela.ú Beniamino del publico fu, com’è tuttora, una specie di stupido. Al Mórychos e al Mómar, che sembra tenessero un posto d’onore nella farsa sicula, fa riscontro un nuvolo di citrulli, caratterizzati con straordinario lusso d’epiteti, che spesso prendevano valore di sostantivi, consistenza di maschera. Tali il Blitomàmmas, bietolone di mamma, e il Mammàkythos, che era addirittura protagonista in commedie di Platone comico e di Aristagora.