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14 | ARISTOFANE |
venne a cantare, dopo Mosco, un’aria
della Beozia. Ma poi mi sentii
squartar, quest’anno, assassinare, quando
spuntò Cheride ad intonare un canto
di.Terpandro. Però, da che fo bagni,
mai la lisciva m’arse tanto gli occhi,
come adesso mi scotta che la Pnice
è vuota ancora, mentre l’assemblea
si dovea riunir fino dall’alba!
Stanno a ciarlare in piazza, e vanno in su
e in giú per evitar la corda rossa.
E neppure i pritani son venuti!
Quando poi giungono in ritardo, s’urtano,
si contendon l’un l’altro i primi posti,
rovesciandosi in frotta. E mai si pensa
al modo di far pace. Oh Atene, Atene! —
Io, poi, vengo ogni giorno all’assemblea
primo di tutti, e seggo. E, solo solo,
m’annoio, gemo, sbadiglio, mi stiro,
tiro peti, disegno sulla sabbia,
mi strappo i peli, computo, contemplo
i campi, col desio la pace invoco,
impreco alla città, sospiro il mio
borgo, che mai non’ mi diceva: compera
carbone, compera olio e aceto; e tutto
mi produceva, e quel comprar non c’era
che il cuor mi fende. — Oggi, però, son qui
disposto a schiamazzare, ad interrompere,
a scagliar contumelie agli oratori,
se parlan d’altro che di pace. — Oh. vedi