uccelli, — il cui ufficio, esorbitante dal materiale svolgimento
dell’azione, è di avvolgere questa in una vaporosa atmosfera
di poesia. Altre Volte lo rende vero coro dell’azione immaginata. Cosi-avviene nelle Donne alla festa di Dèmetra e nelle
Rane. Questo spediente è dal lato artistico assolutamente
ineccepibile, e potrebbe senz’altro ricorrervi il più raffinato
drammaturgo dei giorni nostri. Il terzo mezzo, più radicale, e
che doveva avere larghissima eco in tutta la posteriore tradizione drammatica, è di alterare fondamentalmente il carattere
del Coro, di frangerne la malagevole unità arcaica. Aristofane
ci arriva, almeno per quanto vediamo noi, solo in una delle sue
ultime commedie, nelle Donne a Parlamento. E ne riparleremo.
I due personaggi principali degli Acarnesi, Diceopoli e
Lamaco, appartengono in fondo anch’essi al vecchio repertorio (vedi Prefazione). Diceopoli è il bifolco, e ricorda
per molti lati la pittura teofrastea. Vero è però che neppur
mancano i segni speciali che lo contraddistinguono attico
puro sangue. Lamaco è il solito rodomonte. A chiacchiere,
ammazza mezzo mondo. Ma poi si lascia scorbacchiare da
Diceopoli, gli porge la penna del proprio elmo perché ci si
stuzzichi la gola, e l’elmo stesso capovolto perché ci vomiti.
Quando si apparecchia alla guerra, pensa più che ad altro
a far lucido Io scudo: pare Pirgopolinice. Appena entra in
campo, va per le terre e si massacra: allora poi a dire del
suo tirapiedi, cominciano le sue gran prodezze. Ma al fine
dell’azione, in scena con le proprie gambe non ci può tornare:
così è sempre intervenuto a tutti i Capitan Fracassa.
Le altre circostanze indispensabili a intendere la commedia si espongono nelle note: nelle varie introduzioni alle
altre commedie, dove meglio se ne porge il destro, tratto