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GLI ACARNESI 7

parte d’una commedia del tipo suggerito od imposto dalla tradizione, doveva necessariamente ridursi ad una oziosa assistenza, ad accademici commenti. Né altro, dalla parabasi in poi, sogliono fare i coreuti aristofaneschi. La prima parte si prestava invece ad un trattamento un po’ più vivo e libero. Dato il soggetto quasi unico fissato dalla tradizione — una impresa del protagonista — il poeta poteva immaginare il Coro, o favorevole, od ostile a quello. Nel primo caso però, il suo ufficio si limita a una collaborazione, antidrammatica in ogni modo, e nelle commedie, per necessità anche materiali, puramente platonica. Esso diventa come una specie di piccolo esercito che riceve i comandi dal protagonista; e ciò riconosce esso stesso in più casi, con la massima buona grazia e con espressioni quasi sempre identiche (Pace, 328, 381, 457; Uccelli, 692). 11 secondo mezzo, di fingere il Coro ostile, riusciva, almeno nella pàrodos, a un atteggiamento di grande effetto. Le furibonde entrate degli Acarnesi, dei Cavalieri, degli Uccelli, quella specie di ronda d’eliasti nei Calabroni, sono quanto si può immaginare di più colorito e drammaticamente vivace. così avviene che Aristofane, nel primo gruppo delle commedie, dà la preferenza a questo spediente, suggerito già forse, come vedemmo, dalla tradizione drammatica. Ma in fondo, si trattava anche qui d’illusoria galvanizzazione, non di vita: sbollito quel primo furore, il Coro tornava alla inazione, al vieto ufficio di consigliere e commentatore.

Parecchie vie tenta Aristofane per adattare nel dramma, secondo il principio della verisimiglianza, questo vecchio incomodo strumento scenico. Talora lo disimpegna dalle materiali contingenze, componendolo di creature fantastiche — nuvole,