Gli Acarnesi, il terzo lavoro del giovane Aristofane, che
aveva; già dati alle scene i Banchettatori (427) e i Babilonesi
(426), furono scritti nel 425. La guerra durava già da sei
anni, e al rinnovarsi d’ogni stagione le soldatesche spartane
mettevano a ferro e fuoco il territorio fin sotto le mura della
città. In Atene, affollata da tutta la gente cacciata dai campi,
serpeggiava la peste, che, dopo effimere tregue, aveva ripreso
ad infuriare nell’inverno del 424. Nel cuore di moltissimi
cittadini, ad onta dell’autorità di Pericle, e, lui morto, dei
clamori demagogici, già da lungo tempo maturava il desiderio
della pace. Le comuni aspirazioni esprime appunto Aristofane
in questa commedia.
La favola non gli costò troppa fatica. Il suo protagonista
va diritto diritto a propugnare le sue mire nell’assemblea
del popolo; e poiché non gli danno retta, celebra la pace
con Sparta per proprio conto. Quanto al disegno e alla economia generale, conviene far subito alcune osservazioni indispensabili a dar retto giudizio di tutta la tecnica drammatica
aristofanesca.