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VIII | PREFAZIONE |
teo, e spiegava la geniale teoria del perenne tramutar d’ogni cosa a un progenitore di Strepsiade che ne faceva una pratica lepidissima applicazione (vedi introduzione alle Nuvole). Nuove sue incarnazioni sono il Socrate delle Nuvole, l’Euripide degli Acarnesi e delle Donne alla festa di Dèmetra, Metone e Cinesia degli Uccelli. Spesso entrava, curiosamente, nei panni di un cuoco.
Ma il blasone piú nobile e piú antico spetta forse al Capitan Fracassa. Già tra i frammenti d’Archiloco, troviamo questa figura che sembra scappata da una parabasi aristofanesca (55):
Non mi garba un condottiero grande e grosso e pien di spocchia
pei suoi riccioli, che a contropelo ha sempre raso il mento
Me ne basta uno piccino, ch’abbia ad arco le ginocchia,
ma le gambe non gli tremino, ma sia pieno d’ardimento.
In Attica, prima forse di vestir panni da soldato, cinse i fianchi con la fascia d’atleta. Fanfaroneggiava, e s’intende; ma spesso e volentieri si presentava col grugno così pieno di lividi da sembrare un cestello di more (Adesp., 779), o di prugne mature (Alesside, 273). Il vero suo valore brillava invece a desco. Un eroe del Pancraziaste di Teofilo così raccontava una sua scorpacciata (8):
A
Tre mine circa di bollito.